La nascita degli archivi

La nascita degli archivi della Chiesa Cattolica germogliano naturalmente nei primi secoli (dal I al III secolo), con la formazione e lo sviluppo delle strutture delle comunità cristiane, ma ogni piccola comunità aveva il proprio archivio e il proprio criterio di archiviazione.

L’idea di creare un unico grande archivio per ogni diocesi (Circoscrizione su cui si estende la giurisdizione spirituale e il governo ecclesiastico di un vescovo) è nata come esigenza dopo il Concilio di Treno.

Il cognome moderno, cioè quello che oggi abbiamo tutti, nasce con il Concilio di Trento. Durante il Concilio di Trento, riunitosi nell’anno 1564, si sancì la regola per le parrocchie di possedere un registro dei battesimi con nome e cognome. Ovviamente prima del concilio di Trento solo i commercianti, i nobili o i notabili usavano un secondo nome, o cognome, oppure titolo o qualifica, insieme al nome proprio di battesimo o di nascita. Anche se questo non era ancora registrato in nessun archivio ufficializzato dallo stato. In realtà non esisteva ancora, per gli stati il concetto di registrare lo stato civile delle persone.

Il primo tentativo di creare un archivio diocesano

La nascita degli archivi

Nel dicembre 1787 un prete di Venezia, don Francesco Marangoni, presentò al governo della Repubblica una proposta riguardante la conservazione dei documenti ecclesiastici, in particolare i libri parrocchiali resi obbligatori dal concilio di Trento e dalle disposizioni successive.

La proposta consisteva nell’istituzione di un archivio generale dove far confluire tutti i registri canonici delle settanta parrocchie veneziane. Questa concentrazione, oltre a proteggere le carte da dispersioni e abusi, ne avrebbe razionalizzato la gestione e semplificato la consultazione, con evidente vantaggio di coloro che avevano bisogno di produrre atti di nascita, matrimonio o morte per le tante occorrenze della vita quotidiana.

Il progetto, valutato in un primo momento con favore ma poi giudicato dagli stessi ambienti del governo civile troppo invadente nei confronti delle prerogative della Chiesa, fu infine respinto nel1788.

Esso resta tuttavia un segnale molto valido dell’attitudine ormai diffusa circa la documentazione relativa all’identità e condizione degli individui.

(Estratto da: I cognomi degli italiani)

Gli antichi archivi parrocchiali

Negli antichi archivi parrocchiali erano registrati solo gli eventi di una certa importanza, come le memorie dei martiri e dei santi, le offerte generose alla chiesa, e la conservazioni di libri sacri.

Dobbiamo necessariamente attendere il dopo concilio di Trento per poter avere un registro delle anime, registro dove erano annotate nascite, matrimoni e morte di tutti gli individui, anche se poveri.

Nei secoli XVI-XVII appaiono i primi manuali di archivistica o sul modo di tenere gli archivi. Tra di essi, per l’Italia, si possono ricordare in modo specifico quelli dovuti a Baldassare Bonifacio (1584-1659, vescovo di Capodistria) e al sacerdote milanese Nicolò Giussani. Bonifacio pubblicò nel 1632 a Venezia il De archivis liber singularis, in cui trattava degli archivi sotto gli aspetti giuridico, storico e letterario; un testo che ebbe un grande successo e diverse edizioni, mentre Giussani con il suo Methodus archivorum (Milano 1684) offriva una trattazione tecnica di maggior respiro. Nel secolo XVIII esercitò influenza anche il De’ pubblici archivi e notai (Lucca 1749) di Ludovico Antonio Muratori.

Archivi ecclesiastici

Dalla chiesa allo stato

Sito web con oltre 5.000 registri parrocchiali, elenchi nominativi di oltre 250.000 atti di battesimo, matrimonio e sepoltura. http://registriparrocchiali.weebly.com/

Grazie agli sforzi di questi ecclesiastici, gli archivi diocesani sono risultati utili per sviluppare gli archivi dello stato civile. In pratica, i parroci esercitavano la funzione amministrativa per conto di ogni singolo stato. Le registrazioni di nascite, matrimoni e morte dei parroci erano considerate come documenti di stato. Se un comune cittadino doveva, per esempio, dimostrare al governo della morte del proprio genitore, avrebbe dovuto chiedere un attestato al parroco, e questo “atto” aveva valore legale a tutti gli effetti.

I primi Archivi di Stato Civile “laici” saranno introdotti dall’amministrazione napoleonica. Ogni stato, sotto il dominio napoleonico, doveva tenere un proprio archivio, gestito da funzionari laici debitamente autorizzati dallo stato. Nasce così il primo “Stato Civile Napoleonico” che resterà in vigore fino al 1815.

Restaurazione dello stato civile

La nascita degli archivi

Con la caduta dell’impero francese viene a mancare anche lo Stato Civile Napoleonico. Ogni stato dovrà “restaurare” il proprio il proprio archivio. Questo periodo è conosciuto negli ambienti archivistici come “Stato Civile della Restaurazione” e durerà dal 1816 al 1860, fino all’unione del Regno d’Italia.

Con il Regno d’Italia si inizierà, anche se lentamente, ad adottare un metodo unico di archiviazione in tutta l’Italia, metodo che verrà poi confermato con l’avvento della Repubblica italiana.

Gli archivi dello stato civile

In ciascun ufficio comunale sono registrati e conservati in un unico archivio informatico tutti gli atti formati nel comune o comunque relativi a soggetti ivi residenti, riguardanti la cittadinanza, la nascita, i matrimoni e la morte. Negli Archivi di Stato sono invece conservati tutti i registri detti storici. Per chiedere un documento di una persona in vita o vissuta entro i cento anni bisogna rivolgersi agli uffici dello Stato Civile, se invece la persona è deceduta da oltre cento anni è possibile trovarla nei registri degli Archivi di Stato.


Quest’articolo indica alcuni eventi sulla formazione degli archivi dello stato civile al solo scopo informativo.

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